TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLE IPERLIPOPROTEINEMIE E DELL'ATEROSCLEROSI

Relatore Dr. Franco Bernini - Corso di aggiornamento 3a serata 27-2-2001 -


 

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Gli studi pubblicati negli ultimi anni hanno valutato l’incidenza di eventi coronarici maggiori fatali o non fatali dimostrando che la riduzione della colesterolemia totale ed LDL riduce efficacemente l'incidenza di questi eventi. Nel nostro Paese si conferma l'elevato valore predittivo della colesterolemia nei confronti del rischio coronarico (peggiore in presenza di altri fattori di rischio, quali l'ipertensione, il fumo di sigaretta, il diabete) e che la colesterolemia media degli italiani è situata su valori superiori a quelli accettabili con correlata relativa incidenza globale della malattia coronarica, valutata come somma degli eventi fatali e non fatali.

 

I lipidi plasmatici

In condizioni normali, i cibi ed il tessuto adiposo forniscono la maggior parte degli acidi grassi che, captati dal fegato, vengono esterifìcati a trigliceridi, mentre alcuni acidi grassi, specie quelli saturi, vengono sintetizzati ex-novo dal fegato a partire dall'acetato. Gli acidi grassi possono essere convertiti in trigliceridi, esterificati con il colesterolo, incorporati nei fosfolipidi od ossidati a CO2 o a corpi chetonici.

I trigliceridi prodotti vengono in gran parte secreti previa conversione in lipoproteine a densità molto bassa (VLDL), mediante la combinazione con specifiche apolipoproteine.

Ancora a livello epatico avviene il catabolismo delle lipoproteine a bassa densità (LDL), la rimozione e la degradazione sia dei chilomicroni remnant sia delle VLDL nonché il catabolismo delle lipoproteine ad alta densità (HDL).

Il colesterolo viene sintetizzato principalmente dal fegato (altre sedi di sintesi sono la corteccia surrenale, la cute, l’intestino, le gonadi) in media nella misura di 1 g al giorno a fronte di una quota minore (300-600 mg in media) introdotta con la dieta.

Il controllo della sintesi del colesterolo è esercitato in gran parte all'enzima 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A reduttasi (HMG-CoA reduttasi), per cui ad un aumentato apporto alimentare di colesterolo fa riscontro una riduzione della quota di colesterolo endogeno.

Il colesterolo plasmatico riflette le alterazioni del colesterolo corporeo totale, anche se una riduzione della colesterolemia può essere espressione di danno epatico e di alterata esterificazione epatica dei colesterolo (diminuita sintesi del colesterolo, di apolipoproteine o di entrambi).

Le lipoproteine sono macromolecole deputate al trasporto plasmatico dei lipidi, in gran parte colesterolo (esterificato e non esterificato), trigliceridi e fosfolipidi. Anomalie della concentrazione e del metabolismo di lipidi e lipoproteine hanno una grande parte nel processo di aterosclerosi e nelle sue conseguenze cliniche.

In base alla loro densità le lipoproteine sono classificate in 5 classi: chilomicroni, VLDL (very low density lipoproteins, ovvero lipoproteine a densità molto bassa), IDL (intermediate-density lipoproteins, lipoproteine a densità intermedia), LDL (low-density lipoproteins, lipoproteine a bassa densità), ed HDL (high-density lipoproteins, lipoproteine ad alta densità).

Sulla superficie delle lipoproteine sono anche situate le apolipoproteine che danno loro stabilità strutturale e svolgono un ruolo fondamentale nel trasporto dei lipidi e nel metabolismo delle lipoproteine.

 

Le iperlipoproteinemie.

Le iperlipoproteinemie sono patologie del metabolismo lipidico che trovano la loro origine o in un’accelerata sintesi o in una ritardata degradazione delle lipoproteine di trasporto plasmatico del colesterolo e dei trigliceridi.

 

L’interesse del medico per le iperlipoproteinemie è legato principalmente al loro coinvolgimento nell’aterosclerosi e nelle correlate patologie, con dati che indicano un preciso coinvolgimento – come fattore indipendente di rischio – oltre che del colesterolo, da tempo noto, anche dei trigliceridi, sebbene nessuno studio controllato abbia ancora dimostrato che la riduzione dei valori elevati di trigliceridi riduce il rischio coronarico.

 

Il ruolo dei lipidi nell’aterogenesi, il concetto di stabilità della placca.

I fenomeni trombotici innescati dalla rottura delle placche ateroselerotiche sono responsabili della maggior parte degli eventi coronarici acuti. L'integrità fisica della placca influenza quindi le manifestazioni cliniche più importanti dell'ateroselerosi. Le lesioni aterosclerotiche stabili hanno in genere uno spesso cappuccio fibroso e un nucleo lipidico ridotto rispetto alle lesioni che vanno incontro a rottura . E' ormai chiaro che l'infiammazione è un  fattore determinante la stabilità delle placche aterosclerotiche nell'uomo. I mediatori dell'infiammazione, come le citochíne, possono influenzare numerosi processi biologici che regolano la stabilità del cappuc­cio fibroso della placca e quindi la sua resistenza alla rottura.

 

Particolare importanza riveste la matrice extracellulare del cappuccio fibroso che rico­pre il nucleo trombogenico dell'ateroma. Le citochíne infiammatorie come l'interleuchina- 1, il tumour necrosis factor (TNF) e il ligando di CD-40 possono indurre anche l'espressione da parte dei macrofagi e delle cellule muscolari lisce di enzimi proteolitici che possono indebolire la matrice extracellulare e quindi il cappuccio fibroso. Numerose evidenze sperimentali propongono le  LDL come uno dei probabili agenti in grado di innescare le reazioni infiammatorie nella parete lesa. E' inoltre noto che la maggior parte del colesterolo presente nella lesione aterosclerotica origina dalle LDL. Tali attività vengono probabilmente acquisite dalle LDL in seguito a varie modificazioni tra cui quelle indotte da processi ossidativi. Studi recenti, condotti su conigli con ateroselerosi indotta sperimental­mente, hanno dimostrato che l'abbassamento dei livelli lipidici può ridurre il numero di macrofagi, diminuire l'espressione degli enzimi collageno-litici e rinforzare il cappuccio fibroso della placca aumentando il contenuto di collagene interstizìale.

 

 

La riduzione della concentrazione di colesterolo può ridurre lo stimolo infiammatorio nella lesione ate­rosclerotica. L'abbassamento dei lipidi può quindi, stabilizzare il cappuccio fibroso della placca riducendo l'infiammazione locale e rendendo l'ateroma meno predisposto alla rottura e all'instaurarsi di complicanze trombotiche. Come già ricordato l'abbassamento dei lipidi ripristina inoltre la funzione endoteliale, fattore che contribuisce ulteriormente alla stabilizzazione della placca.

Queste osservazioni permettono di spiegare la riduzione degli eventi acuti coronarici e cerebrovascolari, che si osserva nei soggetti trattati con farmaci ipocolesterolemizzanti e documenta ulteriormente il ruolo dei lipidi nel processo aterosclerotico.

 

Lipidi ed endotelio

La disfunzione endoteliale è una condizione comune a diverse condizioni patologiche come l’ictus, l’infarto del miocardio, ipertensione e aterosclerosi. Tale sindrome è stata inizialmente descritta come una carente vasodilatazione endotelio dipendente in pazienti a rischio di aterosclerosi che si manifesta in modo estremamente precoce, prima della comparsa di lesioni evidenziabili con tecniche ultrasonografiche. E’ oramai chiaro come la disfunzione endoteliale non sia limitata ad un difetto nella regolazione del tono vasale, ma che coinvolga numerose funzioni di tali cellule: il loro ruolo di barriera, le proprietà antitrombogeniche, angiogeniche, proliferative e la capacità di  inibire l’adesione delle cellule circolanti quali neutrofili e monociti. Benché numerosi markers di disfunzione endoteliale sono stati proposti (es. livelli circolanti del fattore di von Willebrand), la vasodilatazione endotelio dipendente resta tuttora il test più indicativo. Nelle coronarie con lesioni aterosclerotiche è stata messa in evidenza una risposta abnorme di vasocostrizione in seguito a somministrazione di acetilcolina. Tale risultato evidenzia come una carente sintesi di NO da parte della ossido d’azoto sintasi endoteliale (eNOS) sia un fattore cruciale della disfunzione endoteliale. Infatti, appare ormai chiaro che proprio una carente attività di tale enzima sia alla base delle disfunzioni cellulari sopra ricordate e che la produzione di NO giochi un ruolo fondamentale di mediatore tra endotelio, cellule muscolari lisce ed elementi circolanti. L’attività della eNOS è un punto cruciale della regolazione delle funzioni endoteliale ed è coinvolta nell’azione di numerosi fattori  inibitori e stimolatori Tra i fattori inibitori possiamo ricordare lo stress emodinamico, citochine  come il TNFalfa, la maggior parte dei fattori di rischio per l’aterosclerosi come l’iperomocistinemia, il diabete, le iperlipidemie. Come sopra ricordato, nei soggetti ipercolesterolemici è stata messa in evidenza una carente vasodilatazione endotelio dipendente anche prima che si manifestassero evidenze morfologiche del danno vasale. E’ noto da tempo che le LDL ossidate col loro contenuto di lisofosfatidil-colina sono in grado di inibire la vasodilatazione mediata da NO. Il colesterolo LDL induce inoltre un incremen­to della produzione endoteliale di forme molecolari reattive dell'ossigeno. Una di queste molecole, lo ione superossido può inattivare l'NO. Recentemente è stato messo in evidenza che il siero di soggetti ipercolesterolemici influenza il legame caveolina-eNOS con conseguente inibizione dell’attività dell’enzima. La carenza di NO comporta un aumentata infiltrazione di macrofagi nella parete arteriosa, cellule che assieme all’endotelio giocano un ruolo fondamentale nell’aterogenesi.

 

Appare quindi chiaro come  la disfunzione dell’endotelio sia un momento fondamentale dell’aterogenesi  strettamente correlata ai più importanti fattori di rischio per questa patologia quali l’ipercolesterolemia di cui spiega, almeno in  parte, il ruolo aterogenetico e il beneficio delle terapie ipolipemizzanti. E' stato infatti dimostrato che la riduzione della colesterolemia comporta un ripristino della risposta vasodilatatrice da stimolo parasimpaticomimetico, tale effetto si manifesta in tempi relativamente brevi. In pazienti con ipercoleste­rolemia e senza evidenze angiografiche di aterosclerosi, il trattamento per 6 mesi con una dieta ipoco­lesterolemizzante associata a colestiramina ha indotto una miglior  risposta all'acetilcolina. Trattamenti di sei mesi con pravastatina o lovastatina hanno mostrato risultati simili. In 49 pazienti con ateroselerosi divisi in tre gruppi e trattati rispettivamente con la sola dieta, con lovastatina e colestiramina o con lovastatina e probucol è stata valutata la vasodilatazione delle arterie coronarie in risposta all'infusione intracoronarica di acetilcolina. Gli individui trattati con la sola dieta han­no mostrato un lieve miglioramento delle risposte vasomotorie coronariche. I pazienti del gruppo trat­tato con lovastatina e colestiramina hanno mostrato un miglioramento leggermente superiore. I soggetti trattati con lovastatina e probucol hanno mostrato un miglioramento significativo della funzione endoteliale. Il ripristino della funzionalità endoteliale compromessa dalla  ipercolesterolemia è stata osservata con trattamenti ipolipemizzanti con simvastina o resine a scambio ionico già a partire dalla dodicesima settimana di trattamento. La brevità del periodo di trattamento suggerisce che il beneficio si manifesti senza modificazioni strutturali e supporta il concetto che eccessivi livelli di colesterolo possano essere direttamente dannosi per l'endotelio[i].

 

In tutti gli studi descritti, i miglioramenti della funzione endoteliale sono associati alla terapia ipocolesterolemizzante. Recentemente in uno studio su volontari sani, con valori di colesterolo nella media, le risposte del flusso sanguigno a livel­lo degli arti inferiori dopo infusione di metacolina sono risultate significativamente ridotte negli indi­vidui con valori di colesterolo più alto. La vasodi­latazione endotelio-dipendente nel gruppo con colesterolo al limite superiore è risultata ridotta di quasi il 50% rispetto a quella del gruppo con colesterolo al limite inferiore, suggerendo una relazione continua e inversa tra colesterolemia e vasodilatazione endotelio-dipenden­te. La disfunzione endoteliale può quindi verificarsi anche in giovani sani e con livelli di colesterolo nella media.  Questo starebbe ad indicare che è comunque bene mantenere la colesterolemia a livelli bassi

 

I farmaci

L'introduzione in terapia delle statine ha permesso di confermare in modo definitivo la correlazione tra ipercolesterolemia ed aterosclerosi e di dimostrare l'efficacia degli interventi ipolipemizzanti nel ridurre il rischio aterosclerotico. Fino all'avvento di tali farmaci gli studi clinici avevano principalmente riguardato pazienti con alti livelli di ipercolesterolemia e con agenti farmacologici di limitata efficacia e scarsa compliance dovuta ad una ridotta tollerabilità. Tali studi non hanno quindi permesso di ottenere una riduzione della mortalità totale e di una effettiva riduzione del rischio specie in prevenzione primaria. I cinque trials clinici più importanti condotti con statine hanno visti coinvolti circa 31000 pazienti ed  hanno permesso di dimostrare l'effettivo beneficio della riduzione della colesterolemia LDL sulla morbidità e mortalità cardiovascolare. Tale beneficio si manifesta in prevenzione secondaria e primaria in pazienti, non solo con ipercolesterolemia grave, ma anche lieve o moderata. Tali studi oltre ad evidenziare l'efficacia di questa classe di farmaci ne hanno messo in evidenza l'ottimo profilo di tollerabilità. Recentemente uno studio condotto con gemfibrozil (VA HIT) ha fornito un convincete dato clinico anche sul ruolo protettivo delle HDL.

Tre principali studi clinici hanno messo in evidenza il ruolo delle statine nella prevenzione secondaria: 4S, CARE, LIPID.

The Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S). Lo studio 4S è il primo dei grandi trials con statine che ha dimostrato in modo definitivo come una terapia ipolipemizzante possa ridurre non solo la mortalità coronarica, ma anche la mortalità totale. Questo studio ha valutato l'efficacia e la tollerabilità della simvastatina in 4444 pazienti ipercolesterolemici affetti da patologie coronariche. I soggetti trattati ricevevano simvastatina a dosaggi efficaci nel ridurre il colesterolo totale al disotto di 200 mg/dl. Tale intervento ha comportato una riduzione media del colesterolo LDL del 35%. L'end point primario di questo studio, la mortalità totale, si è ridotta col trattamento del 30% . Tra gli end points secondari è stata osservata una  riduzione del 35% degli eventi coronarici maggiori, nonché una riduzione significative dell'incidenza di ictus. Tali risultati furono ottenuti senza effetti collaterali significativi e, probabilmente per la prima volta in uno studio di intervento con farmaci ipolipemizzanti,  senza nessun aumento della mortalità per cause non cardiovascolari.

Cholesterol and Recurrent Events (CARE). Il CARE ha riguardato 4259 pazienti coronaropatici trattati per 5 anni con 40 mg/die di pravastatina. Il trattamento indusse  una riduzione del colesterolo LDL da una media di 137 mg/dl ad una di 98 mg/dl con una calo degli eventi coronarici maggiori del 25%, morti coronariche del 24%,  interventi di rivascolarizzazione del 27% e ictus del 31%.  Anche in questo studio la manifestazione di effetti indesiderati si rivelò poco significativa.  L'importanza di questo studio è di aver dimostrato il beneficio dell'intervento in soggetti con colesterolemia media.

Long-Term Intervention with Pravastatin in Ischaemic Disease (LIPID). Questo studio ha nuovamente considerato il trattamento con 40 mg/die di pravastatina in 9014 soggetti con livelli di colesterolo LDL simili a quelli previsti dallo studio  CARE. Anche in questo caso si osservò una riduzione degli eventi coronarici maggiori e della mortalità del 29 e 23% rispettivamente.

L'analisi dei sottogruppi di questi tre trials ha dimostrato l'efficacia della terapia in tutti i soggetti anche se con fattori di rischio diversi: uomini e donne, giovani ed anziani, fumatori e non fumatori, ipertesi e normotesi, diabetici e non diabetici 2.

 

Il ruolo delle statine nella prevenzione primaria è stato evidenziato da due principali studi: WOSCOPS e AF-CAPS/TexCAPS.

West of Scotland Coronary Prevention Study (WOSCOPS). In questo studio di prevenzione primaria sono stati trattati per cinque anni con pravastatina (40 mg/die) 6595 uomini con elevati valori di colesterolo LDL. Il farmaco ha ridotto la colesterolemia LDL da una media di 192 mg/dl ad una di 159 mg/dl. Gli end points primari, infarto del miocardio fatale e non fatale, furono ridotti del 31% con un calo della mortalità totale del 22%.

Air Force/Texas Coronary Atherosclerosis Prevention Study (AF-CAPS/TexCAPS). Questo studio fornisce un completamento importante del WOSCOPS chiarendo il ruolo della prevenzione primaria in pazienti con livelli lievi o moderati di colesterolo LDL. I criteri di inclusione prevedeva un colesterolo LDL tra 130-190 mg/dl o 125-129 mg/dl con un rapporto LDL/HDL superiore a 6 (colesterolo HDL minore di 45-47  mg/dl). La media del colesterolo LDL nei 6605 pazienti arruolati di 150 mg/dl è stata ridotta a 115 mg/dl da lovastatina (20-40 mg/die). L'end point primario, comparsa del primo evento coronarico acuto fatale e non fatale (infarti del miocardio, angina instabile, morte improvvisa) è risultato ridotto del  37% 3.

 

Infine il Veterans Affairs High-Density Lipoprotein Cholesterol Intervention Trial Study (VA HIT) ha considerato soggetti coronaropatici con livelli di colesterolo LDL addirittura sotto la media e quindi non indicati per il trattamento farmacologico secondo le correnti linee guida. In questo studio 2531 soggetti con colesterolo LDL ed HDL inferiori a 140 e 40 mg/dl rispettivamente ricevettero gemfibrozil 1200 mg/die per circa 5 anni. Il trattamento farmacologico produsse una riduzione dei trigliceridi del 31%, un aumento del colesterolo HDL del 6 % ed una riduzione del colesterolo totale del 4% senza variazioni significative del colesterolo LDL. Nonostante il mancato effetto sul colesterolo LDL gli eventi coronarici fatali e non fatali furono ridotti del 22%. Questo studio mette in evidenza il beneficio di una terapia mirata alla riduzione dei trigliceridi ed all'aumento di HDL.

 

Trattamento di alti livelli di colesterolo LDL

Nei soggetti con valori di colesterolo LDL superiori a quelli considerati desiderabili per il profilo di rischio del paziente le statine rappresentano i farmaci di scelta, tuttavia in taluni pazienti potrebbe risultare indicata anche una resina sequestrante gli acidi biliari come la colestiramina o la loro associazione.

Per quanto riguarda le diverse statine disponibili I risultati clinici suggerisconoche le statine vadano considerate una classe terapeutica con effetti clinici omogenei di prevenzione coronarica. Infatti negli studi condotti con questi farmaci il rapporto tra riduzione degli eventi e dell'ipercolesterolemia è risultato analogo. Questa osservazione appare giustificata dalla farmacodinamica di queste sostanze che vede nell'inibizione dell'HMGCoA reduttasi e nell'aumento dei recettori per le LDL il meccanismo comune. Nella valutazione delle diverse statine resta tuttavia importante ricordare i differenti profili farmacocinetici, di potenza ed efficacia che possono influenzarne la scelta in funzione del grado di riduzione della colesterolemia che si intende ottenere, e della possibile interazione con altri farmaci. Da questo punto di vista possiamo ricordare cheper potenza di una statina si intenda la dose di farmaco necessaria per ottenere una determinata riduzione del colesterolo ottenibile con tutti i farmaci della classe. Tale potenza è legata alla capacità della statina di inibire l'attività dell'HMGCoA reduttasi in vitro. La cerivastatina, la molecola più potente di questa classe di farmaci è in grado di inibire del 50% l'attività della reduttasi a concentrazioni più basse rispetto a tutte le altre statine ed è il primo inibitore attivo in clinica a dosi inferiori ad 1 mg Per quanto riguarda l'efficacia questa riguarda l'entità massima di riduzione della colesterolemia ottenuta con la dose massima utilizzabile del farmaco. Atorvastatina 80 mg, simvastatina 80 mg e cerivastatina 0,8 mg giornalieri risultano i farmaci più efficaci. Importante è inoltre giudicare quale delle statine selezionate comporta oltre ad una ottimale riduzione del colesterolo, anche un miglioramento della trigliceridemia e del rapporto LDL/HDL. La possibilità di interazioni con altri farmaci dipendono dalla dose e dalle caratteristiche farmacocinetiche delle diverse statine.

Trattamento di soggetti con elevato colesterolo LDL e trigliceridi tra 200 e 400 mg/dl.

In questi soggetti occorre dare priorità al trattamento dei livelli di LDL. Le statine possono controllare sia i livelli di trigliceridi che colesterolo LDL soprattutto in presenza di una ipercolesterolemia proporzionalmente più marcata della ipertrigliceridemia . L'entità di riduzione dei trigliceridi da parte delle statine dipende dai valori iniziali. L'effetto ipotrigliceridemizzante delle statine non supera solitamente il 30-40%. Se i livelli di trigliceridi restano elevati (oltre 200 mg/dl) l'uso di acido nicotinico (acipimox in Italia) o l'associazione con fibrati può essere indicata. Questi farmaci sono infatti più efficaci nel ridurre i trigliceridi circolanti. Occorre tuttavia ricordare che l'associazione con fibrati aumenta l'incidenza di miopatie con una frequenza di 1 su 50 individui trattati e che il grado di incremento di beneficio rispetto al trattamento con solo statina resta ancora da definire. Le resine sono controindicate in presenza di elevati livelli di trigliceridi perché tendono ad aumentare la sintesi di VLDL e quindi a peggiorare la trigliceridemia.

Trattamento di soggetti con trigliceridi superiori a 400 mg/dl e colesterolo LDL inferiore a 130 mg/dl

In questa situazione i fibrati sono i farmaci di scelta. Un possibile alternativa è rappresentata dall'acido nicotinico. Occorre tenere presente che la riduzione dei trigliceridi in questi soggetti si può accompagnare ad un aumento del colesterolo LDL, evento indesiderato che va tenuto in considerazione in quelle situazioni nelle quali il livello di LDL prima del trattamento era normale.

>Trattamento di soggetti con trigliceridi superiori a 400 mg/dl e colesterolo LDL superiore a 130 mg/dl

Il controllo dei trigliceridi particolarmente elevati richiede come sopra ricordato il trattamento con fibrati o acido nicotinico che nel caso di alti livelli di LDL può essere più indicato per la sua maggior efficacia ipocolesterolemizzante. E' comunque più frequente la necessità di associare ai fibrati una statina per controllare efficacemente la colesterolemia, tenendo presente quanto ricordato precedentemente sull'aumentato rischio di miopatia.

Trattamento di soggetti con bassi livelli di colesterolo HDL

Una ridotta concentrazione plasmatica di HDL comporta un aumentato rischio anche in presenza del trattamento con statine. Inoltre una riduzione della trigliceridemia ed un aumento del colesterolo HDL si sono dimostrati efficaci nel ridurre il rischio coronarico anche in assenza di una riduzione del colesterolo LDL. L'acido nicotinico è attualmente il farmaco più efficace nell'aumentare le HDL, tuttavia la frequenza di comparsa di effetti indesiderati è più alta di quella osservata con fibrati anch'essi dotati di una certa attività di incremento del colesterolo HDL.

 

Trattamento del paziente diabetico

L'aterosclerosi e la cardiopatia ischemica rappresentano la più importante  causa di morte e morbilità del paziente diabetico. In uno studio recente è stato messo in evidenza che il rischio coronarico in presenza di diabete di tipo 2 nei soggetti senza segni di cardiopatia ischemica  è sovrapponibile a quello di soggetti non diabetici coronaropatici[ii]. Nei soggetti diabetici è particolarmente elevata la presenza di più fattori di rischio. Intolleranza al glucosio, diabete di tipo 2, insulino resistenza, ipertensione, bassi livelli di HDL, ipertrigliceridemia. Questo sfavorevole profilo lipidico indica la necessità di controllare non solo l'iperglicemia, ma i differenti fattori di rischio presenti in questi soggetti. L'analisi dei risultati ottenuti nei sottogruppi degli studi 4S, WSCOPS e CARE utilizzando statine indicano una riduzione della frequenza degli eventi superiore alla popolazione generale

 

 

PRINCIPALI INTERAZIONI DEI FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

 

SIMVASTATINA

FLUVASTATINA

PRAVASTATINA

ATORVASTATINA

CERIVASTATINA

 

bezafibrate

claritromicina

ciclosporina

digossina

diltiazem

eritromicina

fenofibrate

fenitoina

gemfibrozil

indinavir

itraconazolo

ketoconazolo

mibefradil

nefazodone

ac. nicotinico

verapamil

warfarin

 

bezafibrate

ciclosporina

eritromicina

fenofibrato

gemfibrozil

ac. nicotinico

warfarin

 

bezafibrato

ciclosporina

colestiramina

eritromicina

fenofibrato

gemfibrozil

nefazodone

ac nicotinico

 

 

amiodarone

antiacidi

bezafibrato

cimetidina

contraccettivi orali

colestiramina

colestipolo

ciclosporina

digossina

eritromicina

fenazone

fenofibrato

fluconazolo

fenitoina

gemfibrozil

indinavir

itraconazolo

ketoconazolo

mibefradil

nefazodone

ac nicotinico

warfarin

colestiramina

colestipolo

ciclosporina

eritromicina

bezafibrato

fluconazole

indinavir

itraconazolo

ketoconazolo

mibefradil

ac nicotinico

fenofibrato

gemfibrozil

 

GEMFIBROZIL

FENOFIBRATO

BEZAFIBRATO

COLESTIRAMINA

atorvastatina

cerivastatina

fluvastatina

pravastatina

simvastatina

warfarin

 

 

atorvastatina

cerivastatina

colestiramina

fluvastatina

pravastatina

simvastatina

warfarin

 

warfarin

atorvastatina

cerivastatina

fluvastatina

pravastatina

simvastatina

Fenilbutazone

warfarin

Clorotiazide

Fenobarbital

Tiroxina

Preparati tiroidei

Digitale

Estrogeni

Cerivastatina

diclofenac

entacapone

fenofibrato

furosemide

idroclorotiazide

acido iopanoico

leflunomide

metaciclina

metotrexato

metronidazole

micofenolato

ac. nicotinico

penicillina g

fenilbutazone

pravastatina

raloxifene

tetraciclina

troglitazone

acido valproico

 

 

 

Osteoporosi e statine

In aggiunta al loro effetto sulla morbidità e mortalità cardiovascolare, dati preclinici indicano che le statine possano incrementare la formazione ossea. Tale dato sperimentale ha trovato riscontro in diversi studi clinici che indicano un favorevole effetto sulla densità ossea. Recentemente uno studio di popolazione ha indicato che il trattamento con statine, ma non con altri ipolipemizzanti, riduce il rischio di fratture in soggetti con età superiore ai 50 anni. Tale osservazione, che richiede una conferma in studi prospettici controllati, rappresenta un importante possibilità terapeutica di grande importanza per la salute pubblica.

 

Abbassare troppo il colesterolo; durata della terapia; la terapia discontinua

La correlazione ipotizzata tra incidenza di cancro e bassi livelli di colesterolo non ha trovato nessuna dimostrazione clinica, appare al contrario più probabile che l'ipocolesterolemia sia una conseguenza dell'attività metabolica e dell'alta espressione di recettori LDL del tessuto tumorale.

Appare invece chiaro che l'esposizione della parete vasale ad elevate o relativamente elevate concentrazioni di colesterolo LDL porta ad uno stimolo infiammatorio che innesca una serie di eventi che sfociano in una lesione aterosclerotica instabile altamente trombogenica. L'intervento ipocolesterolemizzante riduce quindi il grado di esposizione dell'endotelio e della parete vasale a questo stimolo infiammatorio riducendo di conseguenza la gravità e pericolosità della lesione. Per quanto detto è evidente che mantenere una costante e prolungata riduzione dei livelli di LDL circolanti è essenziale per garantire il massimo di efficacia della terapia. Infatti l' interruzione del trattamento comporta la risalita in tempi brevi  della colesterolemia e quindi la ripresa dello stimolo infiammatorio a danno della parete vasale. Questa situazione è ben documentata da uno studio condotto su otto pazienti ipercolesterolemici non coronaropatici. I soggetti erano all'inizio dello studio in trattamento ipocolesterolemizzante (simvastatina, colestiramina o la loro associazione). Il disegno sperimentale prevedeva la sospensione del trattamento per 2 settimane, la ripresa per 12 e nuovamente una sospensione di 6 settimane. La  risposta vasodilatatoria alla serotonina, dipendente dal rilascio di NO endoteliale, si è ridotta in concomitanza dei periodi di sospensione del trattamento ipolipemizzante e della risalita della colesterolemia. Questo risultato documenta come la disfunzione endoteliale ricompaia rapidamente con la ri-esposizione della parete vasale ad alte concentrazioni di LDL. Già dopo due settimane di sospensione della terapia il grado di disfunzione era massimo. Dopo dodici settimane di trattamento la funzione endoteliale tornava simile al gruppo di controllo normocolesterolemico. Si può quindi concludere che la terapia ipolipemizzante va mantenuta nel tempo e deve garantire una costante riduzione dei livelli circolanti di LDL. Anche brevi sospensioni possono comportare la ripresa di quella  sofferenza endoteliale che sta alla base del processo aterogenico.


[i] Stroes ESG, Koomans HA, de Bruin TWA, Rabelink TJ. Vascular function in the forearm of Hypercholesterolemic patients off and on lipid-lowering medication. Lancet 346:467-471, 1995

Studio condotto su otto pazienti ipercolesterolemici non coronaropatici. I soggetti erano all'inizio dello studio in trattamento ipocolesterolemizzante (simvastatina, colestiramina o la loro associazione). Il disegno sperimentale prevedeva la sospensione del trattamento per 2 settimane, la ripresa per 12 e nuovamente una sospensione di 6 settimane. La  risposta vasodilatatoria alla serotonina, dipendente dal rilascio di NO endoteliale, si è ridotta in concomitanza dei periodi di sospensione del trattamento ipolipemizzante e della risalita della colesterolemia. Questo risultato documenta come la disfunzione endoteliale ricompaia rapidamente con la ri-esposizione della parete vasale ad alte concentrazioni di LDL. Già dopo due settimane di sospensione della terapia ipolipemizzante il grado di disfunzione era massimo. Dopo dodici settimane di trattamento la funzione endoteliale tornava simile al gruppo di controllo normocolesterolemico.

 

[ii] Haffner SM, Lehto S, et al. Mortality from coronary heart disease in subjects with type 2 diabetes and in non diabetic subjects with and without prior myocardial infarction. N Engl J Med 339:229-234, 1998

 

Questo studio ha messo in evidenza che il rischio coronarico in presenza di diabete di tipo 2 nei soggetti senza segni di cardiopatia ischemica  è sovrapponibile a quello di soggetti non diabetici coronaropatici

 

 

 

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