Trattamento farmacologico della depressione 

Prof.ssa Elisabetta Barocelli, Dipartimento di Farmacologia, Facoltà di Farmacia Università  di Parma


Martedì 7 Novembre 2000 

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La depressione è un disturbo dell’ umore caratterizzato da una serie eterogenea di anomalie biologiche e di concomitanti cambiamenti comportamentali.

Gli episodi di depressione sono caratterizzati da una costellazione di sintomi che investono l’area emotivo-affettiva (sentimenti di colpa ed inadeguatezza, apatia ed anedonia, disperazione fino all’ideazione suicida), quella neurovegetativa ( disturbi del sonno, anoressia) l’attività psicomotoria (agitazione, affaticabilità, difficoltà nell’espressione verbale) ed infine cognitiva (difficoltà di concentrazione e della memoria).

Questa patologia affligge il 5-10% della popolazione adulta, esordisce in soggetti tra i 25 e i 30 anni, con un’incidenza nel sesso femminile raddoppiata rispetto a quella nel sesso maschile, ha un andamento ciclico con episodi acuti che vanno incontro a risoluzione e ricadute e può comportare un’impronta unicamente depressiva o alternare episodi maniacali (depressione bipolare).

Gli studi finalizzati ad identificare le cause che sono alla base dei disrturbi depressivi non hanno ancora portato a risultati conclusivi. Evidenze di tipo epidemiologico e  farmacologico hanno comunque permesso di formulare diverse ipotesi neurobiologiche per spiegare la fisiopatologia di questo disturbo affettivo ed il meccanismo d’azione dei farmaci tuttora usati come antidepressivi.

L’osservazione che gemelli omozigoti presentavano una maggiore prevalenza della malattia e che era possibile, farmacologicamente, riprodurre i sintomi della depressione o migliorarne il quadro con farmaci che interferivano con le monoamine cerebrali portò, intorno agli anni sessanta, alla conclusione che uno squlibrio neurochimico, risultante da componenti genetiche ed ambientali, fosse alla base della patologia depressiva. Secondo questa “Teoria Monoaminergica” la depressione è causata da un deficit funzionale degli specifici neurotrasmettitori noradrenalina (NA), serotonina (5HT), dopamina (DO) che in particolari aree dell’encefalo sono coinvolti nella regolazione del tono dell’umore, dell’affettività e dell’ansia, del sonno e dell’appetiito, della ricompensa e della motivazione, della memoria e dell’apprendimento, funzioni alterate nel corso della depressione.

I primi farmaci antidepressivi, scoperti in modo aleatorio, provocavano un aumento nei livelli sinaptici delle monoamine attraverso distinti meccanismi: l’imipramina, prototipo degli antidepressivi triciclici, blocca la ricaptazione neuronale del neurotrasmettitore mentre l’iproniazide, il primo inibitore delle MAO, arresta irreversibilmente il metabolismo delle stesse monoamine.

Nonostante la buona correlazione tra l’aumento dei livelli di NA e 5HT cerebrali e l’effetto positivo esercitato da questi farmaci, diverse evidenze hanno portato a rivedere questa teoria.

La prima incoerenza sta nella dissociazione temporale tra l’effetto biochimico dei farmaci e la risposta clinica. Infatti, nonostante i livelli di monoamine vengano aumentati rapidamente da questo trattamento farmacologico, esiste un lasso di tempo, variabile tra i 15 e i 30 giorni, tra l’inizio del trattamento con i farmaci e l’instaurarsi dell’effetto terapeutico. Queste osservazioni quindi suggeriscono che altri fattori sono sicuramente coinvolti nella biologia della depressione e che l’effetto antidepressivo è il risultato di una serie più complessa di eventi cellulari tra i quali l’aumento della quantità di neurotrasmettitori può essere solo una tappa iniziale. Numerosi studi sperimentali hanno dimostrato che trattamenti a lungo termine con diverse classi di farmaci antidepressivi portano a modificazioni adattative secondarie     come il decremento nel numero dei recettori 5HT2 e la desensibilizzazione dei recettori b adrenergici, prevalentemente postsinaptici, e dei recettori a2 presinaptici, coinvolti nella modulazione della liberazione di NA e 5HT.

Una visione globale del problema porta a ritenere che nella depressione si sia generato un transitorio squilibrio nell’omeostasi e nella dinamica funzionale tra i due sistemi noradrenergico e serotoninergico, soggetti ad una influenza reciproca.

Si ritiene che i farmaci antidepressivi di attuale impiego clinico permettano il progressivo ripristino della condizione di omeostasi tra questi diversi sistemi neuronali attraverso un aumento della disponibilità sinaptica delle monoamine attuato sia bloccandone la ricaptazione neuronale, sia riducendone il catabolismo, sia rimuovendo il tono inibitorio sul rilascio o sull’attività neuronale.

I progressi nelle neuroscienze e nella neurofarmacologia hanno portato alla produzione di un ricco armamentario terapeutico di farmaci antidepressivi che vengono generalmente raggruppati per presunto meccanismo d’azione. Si tratta di composti che condividono una buona efficacia (rimane un 20% di non responders), dotati di una latenza più o meno accentuata e caratterizzati da un diverso quadro di effetti collaterali.

Gli antidepressivi triciclici (TCA) restano i farmaci di prima scelta nella terapia della depressione unipolare. La scelta del farmaco è determinata dall’efficacia, dalla tollerabilità e dalla durata d’azione. Oltre ad inibire, in misura diversa, la ricaptazione di NA e di 5HT presentano una considerevole affinità per alcuni recettori centrali colinergici, serotoninergici, istaminici H1 e a2 adrenergici. Il blocco di questi sistemi recettoriali è responsabile degli effetti indesiderati anticolinergici (xerostomia, stipsi, disturbi urinari, offuscamento della vista,  tremori, confusione) dati da Amitriptilina, Imipramina, cardiovascolari (ipotensione, tachicardia riflessa) condivisi in misura minore dai metaboliti attivi Nortriptilina e Desipramina, aumento ponderale e effetto proconvulsivante. Questi effetti, che spesso compaiono ancor prima dell’effetto terapeutico, ne limitano l’applicazione in pazienti che presentano concomitanti patologie come ipertrofia prostatica, glaucoma, stenosi gastrointestinali, cardiopatie con rischio di aritmie. Sono possibili anche interazioni con altri farmaci, come ad esempio il potenziamento dell’effetto depressivo dell’ alcol e degli effetti dei simpaticomimetici diretti, aumento degli effetti tossici per competizione metabolica con farmaci neurolettici, contraccettivi, inibitori della ricaptazione di 5HT. A dosi solo 6 volte superiori a quelle terapeutiche possono dare pesanti intossicazioni con convulsioni e cardiotossicità.

Gli inibitori delle monoaminoossidasi (iMAO) sono stati i primi farmaci antidepressivi utilizzati in terapia. Il loro uso si è andato progressivamente riducendo a favore di altri antidepressivi a causa delle gravi interazioni, talvolta letali, osservate con alcuni cibi e medicinali. Infatti, il concomitante consumo di cibi contenenti tiramina (come formaggi, vini, birra e alcuni legumi) poteva scatenare una crisi ipertensiva accompagnata da cefalea, febbre, emorragie intracraniche e, nei casi più gravi, morte come conseguenza  della massiccia liberazione di catecolamine, dalla midollare del surrene e dalle terminazioni nervose, ad opera della tiramina, sfuggita al metabolismo intestinale. D’altra parte anche la somministrazione di amine simpaticomimetiche indirette (amfetamine, precursori di catecolamine, efedrina, feniilpropanolamina, costituenti di comuni spray nasali) genera questo tipo di risposta. L’attuale disponibilità di inibitori reversibili e selettivi verso la MAO-A ha portato a rivalutare l’utilizzo di questa classe di farmaci, soprattutto nel caso di inefficacia con altri antidepressivi. La reversibilità dell’inibizione dell’enzima, presentata dalla moclobemide, implica un grado minimo di interazione con tiramina o con altre amine simpaticomimetiche; la bassa affinità per i recettori colinergici, H1 o a1 non comporta effetti collaterali antimuscarinici mentre le più comuni reazioni avverse sono nausea, cefalea ed insonnia. 

A circa vent’anni di distanza dall’introduzione dei triciclici è stato sviluppato un nuvo gruppo di antidepressivi gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Questi farmaci (citalopram, fluvoxamina, fluoxetina, paroxetina e sertralina) potenziano specificamente la trasmissione serotoninergica e  sono generalmente sprovvisti di attività bloccante verso altri sistemi recettoriali (muscarinici, H1, a1, D2,  5HT) risultando pertanto privi degli effetti collaterali tipici dei triciclici. Gli effetti indesiderati caratteristici di questa classe di farmaci consistono in disturbi della sfera gastrointestinale (nausea, vomito, gastralgia, diarrea), disfunzioni sessuali (riduzione della libido, impotenza, anorgasmia), disturbi psicomotori (agitazione, tremori, ansia, insonnia) spesso riconducibili alla aumentata disponibilità di  serotonina. Gli SSRI, metabolizzati  a livello epatico, presentano tempi di emivita estremamente diversi (da 15 ore per la fluvoxamina a 84 per la fluoxetina) e la formazione di metaboliti spesso attivi. Fluoxetina, paroxetina e fluvoxamina mostrano spiccata attività inibitoria nei confronti  di isoforme dell’enzima CYP4502D6 così da ridurre la loro clearance e quella di altri farmaci co-somministrati, substrato gli stessi sistemi enzimatici, come TCA, fenotiazine, carbamazepina dei quali viene aumentata la tossicità. Particolarmente rischiosa è l’interazione con gli iMAO, somministrati al termine di una terapia con SSRI, in quanto comporta la comparsa di eccessivi effetti serotoninergici come iperpiressia, tremori, scosse miocloniche e convulsioni. Nonostante per gli SSRI sia riportata una bassa tossicità acuta, l’assenza di interazioni con la dieta e una minore incidenza di effetti collaterali, i risultati combinati di molti studi clinici non mostrano nessuna differenza in termini di accettabilità da parte dei pazienti rispetto ai TCA.

La necessità di disporre di farmaci più sicuri, con minore latenza nell’insorgenza dell’effetto e dotati della massima efficacia ha portato allo sviluppo, su basi prettamente empiriche, di nuovi composti lontanamente correlati ai classici antidepressivi e, complessivamente, definiti antidepressivi atipici.  Si tratta di farmaci che, con meccanismi specifici, modulano la   trasmissione monoaminergica cerebrale bloccando la ricaptazione delle monoamine e/o antagonizzandone l’attività a livello pre-/post-sinaptico. 

Breve latenza nella comparsa dell’effetto terapeutico ed elevato profilo di tollerabilità viene presentato da  Venlafaxina, inibitore del re-uptake della 5HT e della NA, dalla Reboxetina, inibitore ad alta selettività della ricaptazione della NA, dalla Mirtazapina, farmaco che bloccando gli auto-/eterorecettori a2 aumenta la disponibilità di NA e 5HT ed inibendo i recettori 5HT2/5HT3 previene molti degli effetti serotoninergici indesiderati. Una rapida comparsa dell’effetto antidepressivo caratterizza il Trazodone e l’analogo Nefazodone, debolmente attivi sul sistema di ricaptazione della serotonina ed antagonisti 5HT2 serotoninergici. Farmaci che facilitano la funzione dopaminergica come il Bupropione vengono utilizzati nel trattamento di quei pazienti depressi che non rispondono ai farmaci attivi sul sistema noradrenergico e/o serotoninergico.

A una grande varietà di composti sono state attribuite proprietà antidepressive come nel caso del composto endogeno ademetionina (S-adenosil-L-metionina) donatore di metili in molte reazioni metaboliche, o dell’estratto secco dell’iperico che ha raggiunto grande popolarità per la sua efficacia nell’alleviare la depressione di grado lieve-moderato. Gli scarsi riscontri indicativi di efficacia antidepressiva, nel primo caso, e l’accertata esistenza di  interazioni farmacologiche negative, nel secondo caso, riducono l’interesse per questi approcci terapeutici.

Di recente, è stato ipotizzato che nella patofisiologia della depressione, oltre al preminente ruolo del sistema monoaminergico, possa essere implicata una iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene legata ad una ipersecrezione di  CRF. Nuovi antagonisti selettivi dei recettori per il CRF rappresentano la punta più avanzata della ricerca che, iniziata circa 40 anni fa, ha portato a continui arricchimenti nella conoscenza di questa patologia e a netti miglioramenti in termini terapeutici.

Natura della depressione

Epidemiologia e depressione

Trattamento della depressione

I primi antidepressivi

Meccanismo d'azione dei farmaci antidepressivi

 L'effetto antidepressivo

Aspetti farmacocinetici

Effetti collaterali indesiderati

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